Ero
a
pezzi…
una
brutta
esperienza
umana,
etica,
morale,
mi
aveva
buttato
in
un
buco
nero
senza
fondo:
orribile
depressione
.
Eppure
professionalmente
il
mio
lavoro
andava
bene
sia
all’estero
per
l’opera
lirica
sia
in
Italia
per
la
prosa.
Inaspettatamente
Luca
mi
chiese
di
essere
il
suo
scenografo:
dissi
subito
di
sì
(era
un
pezzo
che
anelavo
di
poter
lavorare
in
casa
De
Filippo
(
Edoardo
e
Luca).
Ero
felice,
ma
anche
oppresso
dalla
mia
condizione
e
stavo
per
fare
marcia
indietro
per
il
timore
di
non
essere
all’altezza.
E
dire
che,
col
mio
carattere,
le
avventure
mi
hanno
sempre
affascinato.
Ora
ero
intimorito!
Luca
mi
diede
alcuni
stimoli
iniziali
ma
poi,
lasciandomi
completamente
libero,
mi
inchiodò
alle
mie
responsabilità.
Il
testo
mi
affascinava
per
le
sue
sottigliezze,
l’analisi
critica
della
società
e
dell’ipocrisia…
Un
grande
testo,
all’apparenza
facile
ma
come
tutti
i
grandi
testi,
se
affrontato
con
coscienza,
ti
esplode
tra
le
mani.
Così
è
stato
anche
per
le
idee
sulla
scena:
un
lungo
lavoro
di
documentazione,
i
primi
bozzetti
e
piano
piano
tutto
si
chiariva.
Stavo
finalmente
rimettendo
i
piedi
per
terra
“…deve
stare
tutto
in
un
camion,
le
altezze
sono
queste,
i
tempi
per
il
cambio
di
scena,
le
materie,
i
modellini...”
Ogni
tanto
Luca
mi
dava
dei
temi
di
riflessione:
il
fondale,
il
sipario,
non
realistico
ma
neanche
astratto,
un
collage…
Una
scena
costruita
come
una
sezione
vista
dal
basso,
uno
spazio
reale,
una
narrazione
atmosferica
e
ironica
nel
cuore
di
un
casermone
soffocato
da
altri
casermoni,
cemento
e
vetrocemento,
speculazione
edilizia.
La
ricerca
su
internet
mi
portò
a
scoprire
l’opera
di
un
artista
che
avrei
voluto
per
il
sipario
ma
stentavo
a
sottoporre
a
Luca.
Guarda
caso,
Luca
scelse,
tra
tante
immagini,
proprio
quella.
Carolina
scoprì
il
nome
dell’artista:
Giacomo
Costa,
col
quale
iniziò
subito
la
collaborazione.
Giacomo
fu
subito
disponibile,
sensibile
e
attento
tanto
che
m’imbarazzava
suggerirgli
delle
modifiche
come
tagliare
il
fondale
in
tre
parti,
due
grandi
quinte
e
un
fondale
ridotto
in
misura
sia
per
ottenere
un
effetto
di
profondità
ottica,
che
per
comodità
tecnica
in
caso
di
riduzioni
e
montaggio.
Giacomo
acconsentì
e
così
tutto,
risultato
e
collaborazione,
andò
a
segno.
Luca
interveniva
con
ferma
discrezione.
Da
una
parte
le
indicazioni:
“nel
primo
e
nel
secondo
atto
umile
semplicità
con
tante
memorie,
nel
terzo
arrogante
presunzione,
algido
modernismo-,
bianco
e
nero,
difficilmente
vivibile“.
Dall’altra
i
problemi:
il
grande
trave
di
cemento
orizzontale
tecnicamente
non
facile
e
il
tulle.
Piano
piano
tutto
mi
si
chiariva.
Stavo
ritornando...
e
piano
piano
entravo
in
un’antica
famiglia
di
vero
teatro.
Devo
ringraziare
in
primo
luogo
Luca
e
Carolina,
ma
anche
Alessandro,
Stefano
e
Danilo,
Ivan
e
Francesco,
Chiara
e
Veronica
per
aver
fatto
rinascere
in
me
l’amore
per
il
teatro
e
il
piacere
di
stare
in
palcoscenico. |